Il Teatro e la quarta parete ovvero portare alla luce ciò che alla luce non è
di Erika Renai| Crepuscoli | MacGuffin 44
Il teatro rende visibile ciò che è invisibile ai più.
Il Teatro è per antonomasia un simbolo e come tale porta a coscienza e a consapevolezza ciò che è celato, nascosto.
Il Teatro è carne, sudore, corpo.
Il mio Maestro Luca Ronconi diceva che un copione sono solo parole messe lì a cui mancano i fiati, i respiri, i corpi e siamo noi attori a dargli vita.
Ma non basta.
Serve il pubblico, serve il palco o almeno un luogo dedicato che possa far avverare la magia.
Se il crepuscolo è un momento, raro, in cui oscurità e luce convivono, allora il Teatro è il crepuscolo in cui si passa dal buio alla luce. Per la precisione la quarta parete.
Luce intesa come disvelamento, come presa di consapevolezza, come coscienza.
In Teatro, quando si è spettatori, si osserva la realtà scenica come spiando dal buco della serratura, come se, ciò che il pubblico vede, fosse una straordinaria lente d’ingrandimento che amplifica e rende simbolicamente importante - a volte universale - ciò che avviene in scena.
È questo che fa la quarta parete come fosse il crepuscolo.
E così si va dal buio alla luce, anche in sala, quando seduti su comode poltroncine di velluto, o in un qualsiasi sgabello o sediolina (il Teatro non ha sempre bisogno di un palco fatto di assi di legno e velluti, bastano un luogo predisposto all’azione scenica), la sala si spegne pian piano, insieme al chiacchiericcio intorno a noi; mezza sala, buio.
E inizia la magia.
Il sipario si apre, le luci sul palco si accendono e noi, spettatori, siamo lanciati in una nuova realtà, un piccolo pezzo di mondo illuminato - e illuminante - si dispiega davanti ai nostri occhi, ai nostri sensi.
E noi entriamo, senza bussare, dentro la storia, dentro le vite, dentro il conscio e l’inconscio dei protagonisti e con loro viviamo quelle due, tre ore, assorbiti da una storia che non è la nostra, ma che spesso parla a noi.
Proprio a noi.
Dal buio alla luce.
Dal particolare al generale.
Dal nostro all’universale.
Dall’isola al continente.
Perché è questo che fa il teatro: prende una storia personale, particolare e la rende universale, e contemporaneamente, è capace di parlare a te, proprio a te.
E lo spettatore affronta come un bambino il mondo che gli viene offerto sul palco e lo accetta, a volte - dipende dalla qualità e dalla capacità dello spettacolo stesso - fino all’immedesimazione.
Se il teatro è un buon Teatro, sa coinvolgere il pubblico, “mettendo in scena” la vita e i suoi multiformi aspetti.
Quella quarta parete è elemento fondamentale di passaggio perché il buio si illumini, perché si disveli il celato, il confine tra l’ignoto e il noto.
Il Teatro diventa così un innescatore di cambiamento, qualcosa che è capace di illuminare le menti e di toglierci dal buio.
Ma se è così andare a vederlo, non avete idea di che cosa può dar vita farlo, anche solo come divertissement, come hobby.
Già Freud riteneva che l'arte fosse un modo per soddisfare le nostre spinte pulsionali, attraverso il meccanismo di difesa della sublimazione.
“Il teatro è questo: l’arte di vedere noi stessi!” Augusto Boal, fondatore del Teatro dell’Oppresso.
Quella descritta da Boal è proprio la prima ed importantissima funzione del teatro perché ci permette di:
- conoscerci meglio
- esplorare le nostre capacità e potenzialità
- scoprire parti di noi che non ci sono familiari.
Il teatro ha degli effetti collaterali - come li chiamo io - pazzeschi e utilissimi nella vita di tutti i giorni, anche fatto come amatore, perché porta l’individuo a lavorare su di sé, stimolando la spontaneità e la creatività individuali e consentendo di sperimentare parti di sé o ruoli nascosti, lontani o fantasmagorici attraverso lo spazio scenico.
Perché il Teatro non è una forma d’arte e una pratica riservata a pochi, ma un linguaggio a disposizione di ogni essere umano.
Frequentare un laboratorio di Teatro è un’occasione per permettersi di essere, di entrare nella sfera del “come se”, attraverso attivazioni e giochi propri del training dell’attore, ma che hanno un effetto benefico anche per chi attore non è: entrare al meglio sulla scena della propria vita e passare così dal buio alla luce, attraversando la linea del crepuscolo.
Quando recitiamo infatti, possiamo essere chi vogliamo: un personaggio simile a noi, in cui stiamo comodi e a nostro agio, ma anche un personaggio completamente diverso, con sfaccettature, emozioni e atteggiamenti che nella vita reale non conosciamo, che non ci appartengono, che a volte persino ci spaventano.
Esprimere queste parti sconosciute attraverso un personaggio, ci permette di avvicinarci loro in modo protetto e sicuro, di esplorarle e sperimentarle senza timore e senza giudizio. Questo arricchisce e rende più flessibile la nostra personalità e può migliorare l'autostima, il rapporto con noi stessi e con gli altri.
Inoltre se il fabbro lavora con il ferro, l’attore lavora con il corpo e quindi fare teatro significa imparare a gestire al meglio il corpo, a controllarlo, dominarlo, ad allenarlo, usandolo con maggior autocontrollo, aumentando anche la nostra creatività e la concentrazione.
Spesso, inoltre, si recita all’interno di un gruppo con persone anche molto diverse da noi per età, professione, stile di vita, gusti personali. Questo ci porta ad ampliare i nostri orizzonti, ad imparare a relazionarci con gli altri senza giudicare e senza il timore di essere giudicati. Gradualmente si superano la timidezza, i blocchi personali e la difficoltà ad esporsi.