La mia personale ortica
di Sara Malinverno | L'ortica - MacGuffin 29
Lo confesso: non mi sono mai “punta” con un’ortica e non sono mai caduta in mezzo a un cespuglio di ortiche mentre correvo spensierata giocando con i miei amichetti. L’ho però assaggiata e degustata svariate volte nei piatti più disparati: risotto, gnocchi, frittata…
So che dichiarandolo così apertamente al mondo sto attirando su di me l’attenzione del perfido universo, il quale si affretterà nel pareggiare i conti. Me lo aspetto, è la legge del contrappasso: se l’universo ti accorda un favore, in cambio esige segretezza, è un accordo non scritto. E se non rispetti l’accordo… beh, sai già cosa aspettarti.
Ma, e spero che LUI senta anche questa seconda parte, confesso anche che so perfettamente cosa si prova.
Perché anche se non ho mai fatto esperienza delle proprietà urticanti di questa pianta così versatile, mi hanno raccontato un po’ cosa vuol dire. E io, quella sensazione di prurito e bruciore, la conosco bene, perché accompagna le mie giornate da quando ne ho memoria.
Da quando sono nata, soffro di dermatite atopica. Dermatite, leggo sul sito di Humanitas, “è il termine medico generico con il quale si indica una condizione caratterizzata da pelle arrossata, irritazione, gonfiore e prurito, […] un’infiammazione della pelle che può avere svariate cause e assumere diverse forme”. La cosa che non ti dicono, o per lo meno non subito, è che per la dermatite non esiste cura. Certo, alcuni rimedi che aiutano a lenire, diminuire o momentaneamente sospendere le eruzioni cutanee ci sono, ma nulla è definitivo: creme e unguenti da mettere tutti i giorni, tessuti e colori da evitare, consigli da seguire, cure sperimentali da provare. E così finisci per passare parte della tua vita in cerca del Sacro Graal, di qualcosa che magicamente risolva tutto. Ma, come sappiamo, il Sacro Graal non esiste, è solo una leggenda.
Altro aspetto di cui si parla poco sono le cause della malattia, anche perché per alcune tipologie di dermatite non sono note. O meglio, non sono assolute e scientificamente rilevabili o misurabili. La dermatite, infatti, è - anche - una malattia psicosomatica: un forte stress, un cambiamento importante possono portare a un peggioramento dei sintomi. Per fare un esempio: ho conosciuto un signore che ha sofferto di dermatite per una vita, fino a che un giorno, improvvisamente, si è svegliato ed era guarito. Sapete che giorno era? Il suo primo giorno di pensione!
Nessun medico poi, e nessuna presunta cura, ti prepara a ciò che sarà la vita con la dermatite: una vita inevitabilmente in due, con una compagna spesso scomoda e ingombrante. In un mondo in cui l’apparenza ha un peso sempre più importante, il lato più difficile della dermatite non è il prurito, o il fastidio, o le limitazioni che questa ti impone: con quelle impari a conviverci. La cosa più difficile è la sensazione degli occhi fissi su di te, la espressioni di compassione che le persone ti riservano, il senso di inadeguatezza perché sei diverso, non rispecchi i canoni che il mondo contemporaneo ci propone.
Eppure, c’è una cosa che questa malattia ti insegna, prima o poi, volente o nolente: ti insegna a dire chissenefrega! (in realtà la parola giusta è un’altra, ma temo di non poterla usare qui).
Insegna l’accettazione di se stessi: accettarmi così come sono, con o senza le macchie sulla pelle, perché nessuno lo farà al posto mio e perché non possiamo vivere nella costante ricerca dell’approvazione altrui: l’amico, la mamma, il papà, il partner, il capo…
In fondo, che differenza c’è tra un arrossamento sul viso e un naso storto o un paio di orecchie un po’ troppo grandi o le sopracciglia asimmetriche?
P.S. portino pazienza i medici che leggeranno se sono stati usati termini imprecisi o sbagliati, sono certa capirete l’intento.