L'impiccato non salta
di Cristina Perillo | L'ora illegale - MacGuffin 7
“Lasciatemi così. Ho fatto tutto il giro e ho capito. il mondo si legge all’incontrario. Tutto è chiaro”, afferma Orlando, una volta recuperato il senno dopo essere stato legato a testa in giù, nella Storia dell’Orlando pazzo per amore, contenuta nel Castello dei destini incrociati di Italo Calvino.
La prima volta che ho estratto dal mazzo dei tarocchi la carta de l’appeso (o l’impiccato) non ho avuto dubbi: l’ho capovolta immediatamente e voilà una persona che vorrebbe saltare. E lo vorrebbe con tanta volontà ed energia, nonostante le mani legate dietro la schiena, che i capelli sono già tutti in aria, nel tentato balzo. Ma non può staccarsi da terra, perché qualcuno ha legato saldamente una corda al suo piede, ancorandolo al suolo.
Il mio counselor usa con me le carte dei tarocchi, mettendo a frutto tutto il loro potenziale di strumento di autoproiezione e autonarrazione – ovvero, usa con me le immagini per indurmi scaltramente a portare alla luce e a verbalizzare parti della mia persona e della mia storia altrimenti oscure a me stessa – e nemmeno lui ha avuto dubbi: mi ha sfilato la carta dalle mani e me l’ha restituita dopo averla riposizionata nel verso corretto. l’appeso è l’appeso, non uno che vorrebbe saltare e non può.
In seguito, mi ha pure svelato quanto fastidio gli avesse procurato quel mio tentativo di capovolgere la carta/realtà, di modificarla nella direzione che più tornava a me e alla mia narrazione abituale – una narr-azione fatta di movimento, impegni, azioni per l’appunto – piuttosto che guardarla e accettarla così come si presentava. Dicendomi del suo fastidio, mi ha dato un messaggio molto forte: avevo procurato fastidio a chi cercava l’autenticità; mi ero abituata a stare in una narrazione conosciuta e convenzionale, fino a cambiare letteralmente le carte in tavola, a dispetto di me stessa.
E quindi siamo tornati, e torniamo, all’appeso: un personaggio in una posizione innaturale e, diciamocelo, scomoda. Ma l’espressione del suo volto non dà segni di fastidio, come se in quella posizione lì, immobile, si trovi a proprio agio. E allora per chi è scomoda la posizione dell’appeso? per chi passa e lo guarda.
Me lo immagino, l’impiccato, nella piazza principale di una piccola città di provincia, frequentata da molti abituali passanti che non possono che rimanere colpiti da una persona comodamente ferma a testa in giù. Aggiungiamoci pure che molti di loro lo conoscono e sanno che abitualmente cammina con i piedi ben saldi a terra, proprio come loro.
e allora chi è l’appeso? È una persona che si è presa un’ora illegale. Un tempo per essere al di fuori da tutto ciò che è riconoscibile, adeguato, lecito, normale, normato.
In una società che ti vuole produttore e consumatore in costante movimento – società nella quale per altro sei stato alle regole del gioco fino al giorno prima – cosa ci sarebbe di più scomodo, per chi ti guarda, di confrontarsi con un nuovo te, qualcuno serenamente immobile? La carta dell’appeso urla: “guardatemi, sono irriconoscibile, inadeguato, illecito, anormale, eppure mi sento così bene e a mio agio”.
L’ora illegale è quindi quel tempo in cui ti permetti di stare in contatto con te stesso e di mostrarti, anche se questo significa contravvenire a convenzioni, aspettative, proiezioni: sei l’appeso; sei cenerentola che allo scoccare della mezzanotte resta al ballo perdendo collana, vestito, acconciatura e continuando a ballare mentre sorride al principe; sei mr. incredibile che si fa licenziare dalla compagnia di assicurazioni per cui lavora suo malgrado, indossa la tuta da supereroe quale è e combatte allo scoperto, senza bisogno di mentire alla famiglia; sei il binaconiglio che cammina lentamente godendosi la strada, perché sa esattamente dove vuole andare, a fare cosa e perché.
Presto, che non è mai tardi per l’ora illegale.