Marika Ciaccia
di Simona Rusconi | Nascere - MacGuffin n. 1
Gli animali lo sanno bene. Per fare il proprio ingresso ufficiale in questo mondo, non basta nascere: bisogna imparare a muoversi.
Procacciarsi del cibo, sfuggire dai predatori, trovare un rifugio, seguire il branco.
Cose così, insomma.
In caso contrario, il proprio contributo a questo Pianeta sarà di breve durata. Capirete bene il perché.
Anche per gli uomini la situazione è più o meno la stessa, con qualche significativa variante. Per esempio, siamo i soli animali a mostrare un bipedismo “obbligato”. Ovvero: siamo gli unici che girano per il mondo su due zampe, con il vantaggio di averne altre due completamente libere, così da poter trasportare cibo, bambini oppure armi.
Camminare, quindi.
Questo gesto così scontato e spesso evitato, è in realtà un’impresa mirabile, che richiede una collaborazione pazzesca di varie aree del nostro corpo. Camminare è il segreto del nostro essere ovunque sulla Terra. È il modo in cui percepiamo il mondo e ci percepiamo in relazione ad esso. È quella cosa che è dentro di noi da sempre e ci spinge a smettere di gattonare e tirarci su, in una posizione potenzialmente più vulnerabile e pericolosa. Ma che ci rende noi.
Indifesi e praticamente immobili alla nascita, infatti, è solo quando impariamo a camminare che diventiamo davvero autonomi: ci stacchiamo dal mondo conosciuto e siamo pronti per riempire il nostro cervello - nato per essere mobile - di tutto il nuovo e il diverso che, passo dopo passo, riusciamo a raggiungere.
Camminare è nascere una seconda volta. Per davvero e con una consapevolezza diversa.
Non tutti però imparano a camminare da piccoli. Alcuni, anzi, non lo fanno mai.
Sì certo, bene o male tutti riusciamo a tirarci in piedi e mettere un piede davanti all’altro. Ma si tratta di un gesto automatico, fatto senza attenzione e per lo più funzionale al raggiungimento di uno scopo. Spesso un’ultima spiaggia, quando non c’è un altro mezzo più facile a disposizione.
Capita quindi che, come la Persona Fuori di oggi, si possa imparare a camminare a 17 anni.
All’improvviso, in mezzo a una vita da adolescente come tante, in cui di base si pascola con gli amici e, in alternativa, il divano va sempre bene per passare le giornate.
Ma poi arriva un dolore lancinante ad una gamba. All’inizio sembra non sia nulla e invece poi si scopre che si tratta di una trombosi venosa profonda seguita da embolia polmonare. Quel giorno un medico dice: “faremo il possibile, ma le probabilità di sopravvivere sono molto basse”. E invece lei ce la fa. E allora altri medici dicono: “dovrai dipendere dalle medicine, avrai una gamba più grossa dell’altra, non potrai stare in piedi per troppo tempo e scordati di poter camminare”.
La “lei” in questione è Marika Ciaccia, trentenne di Varese.
Ecco, io la incontro e mi immagino che sia stato lì, nel momento in cui le hanno detto che non avrebbe più potuto farlo, che è arrivato l’urlo atavico della gambe che volevano camminare. Oltre una camera da letto, verso i sentieri, i boschi, le montagne.
Perché lei non ci sta a quello che le dicono i medici e, per cercare di riprendere l’uso della gamba, si mette a reimparare a camminare. Di nuovo.
I primi passi sono difficilissimi: vicino a casa e con il bisogno di riposarsi continuamente. Ma poi si va sempre più lontano, verso le bellezze del territorio, i viaggi zaino in spalla. E così fino agli 800km di Santiago e i 5000 metri delle montagne arcobaleno peruviane.
Potete trovare tutto questo nel suo blog My life in Trek.
Uno spazio virtuale che è molto più di una raccolta di esperienze. È il progetto della Marika che è rinata quel giorno e che, una volta scoperta la passione per la vita all’aria aperta, si è semplicemente adeguata al suo nuovo “essere”, continuando su questa strada.
Oggi questa Marika continua a camminare, ovviamente. E lo fa anche quando è apparentemente ferma: pensando nuove escursioni, scrivendo per la rivista Cammini, progettando lo sviluppo di nuovi percorsi e lavorando al suo primo libro.
Insomma, in tutto quello che fa c’è la voglia di portare le persone a uscire e riscoprire cosa vuol dire davvero camminare. È il suo contributo alla Natura che, come lei stessa afferma, le ha salvato la vita. È un grande elogio al movimento lento che poi, a pensarci bene, è la velocità esatta per cui è stato programmato tutto il nostro corpo.