Renato, Renato, Renato!
di Filippo Antonio Prina | Last minute - MacGuffin n.43
Renato nasce in Italia, a Senigallia, nel 1906 e dopo pochi mesi di vita si trasferisce in Argentina con la famiglia a Buenos Aires, dove morirà nel 1969.
Crescendo si rivela un ragazzo vivace, amante dello sport, ma sopratutto dello svago e del divertimento.
Leggendo un po' della sua biografia ho avuto l'impressione che di lavorare non fosse affatto la sua vocazione, e così, nella sua creatività tipicamente italiana, trovò un modo per mantenersi senza faticare troppo: il calciatore. Una professione rara per l'epoca, ma fortuna volle che di talento non mancava.
Milita quindi inizialmente in diverse squadre minori del campionato argentino fino a quando quelli della Juventus cominciarono a notarlo giocare tra le fila del Club Atlético Chacarita Juniors, da dove viene acquistato e portato in Italia.
Giocherà con la Vecchia Signora (che allora non era ancora vecchia immagino) per la gran parte della sua carriera, partecipando ai successi della storica “Juventus del quinquennio”: cinque anni in cui la Juve ha vito praticamente tutto.
Renato ha giocato sia con la nazionale italiana che con quella argentina, e finita la carriera di attaccante si è dedicato lungamente all'allenamento, saltando tra una squadra italiana e una argentina con la facilità di un pendolare.
Questo movimento transatlantico cessò solo alla sua prematura morte all'età di sessantadue anni, poco dopo essersi ritirato come allenatore della nazionale sudamericana.
Fin qui niente di nuovo, anzi una storia piuttosto noiosa direte voi, ma Renato non è un calciatore come gli altri.
Forse qualcuno di voi l'ha riconosciuto, ma di lui possiamo dire che sia stato l'unico giocatore (fin'ora) a cui è stato dedicato un “tempo”.
C'è a chi sono state dedicate statue, piazze, musei e tornei, ma a nessuno era ed è mai stato dedicato un “tempo”.
Perché Renato fa di cognome Cesarini. Esatto come la Zona Cesarini.
Provo molto affetto per lui, sia perchè ha battezzato un modo di dire calcistico, sia perchè ha promosso un modo di affrontare la vita.
Un uomo, un calciatore, semplice come tanti altri, ma speciale come nessun altro. E per cosa poi? Per avere il talento di saper segnare negli ultimi minuti, per non demordere mai, per aspettare fino all'ultimo per dichiarare finita la partita. Mi immagino che, prima di lui, gli ultimi minuti delle partite fossero piuttosto noiosi: si aspettava il fischio finale sapendo che ormai le possibilità di svoltare il risultato erano scarse. Ma lui era uno che ci credeva. E ci credeva fino all'ultimo. Oltre alla grinta, quest'uomo deve aver avuto anche un sacco di fiducia.
Ora voglio chiederti: c'è qualcosa nella tua vita che ormai dai per spacciato? Qualche sogno nel cassetto che rimane lì da sempre e di cui ormai hai perso le speranze? La storia di Renato può insegnarti a non demordere, a non darti per vinto prima del tempo.
Magari sei in una situazione lavorativa in cui non vedi una via d'uscita o in una relazione arrivata “alla frutta”, ecco, questa storia può insegnarti che finchè l'arbitro non fischia la partita non è ancora finita. E per citare un'altro grande filosofo del calcio internazionale che ben riassume il concetto di quello che voglio dirti oggi “Partita finita quando arbitro fischia” del mitico Vujadin Boškov.
Perchè se c'è riuscito lui a farsi dedicare un “tempo”, forse qualcosa di altrettanto glorioso potrebbe attendere anche te, se come lui, avrai un po' di fiducia nelle tue capacità.
Per ora è tutto, a voi la palla e la linea torna allo studio.