Tecniche avanzate di cerchiobottismo
di Jacopo Boschini | Un colpo al cerchio | MacGuffin n.30
Diciamocelo senza troppi giri di parole: mantenere un equilibrio, nella vita, non è cosa facilissima. Desideri, bisogni, opinioni&convinzioni personali spesso cozzano tra loro. E quando non cozzano tra loro, si sfracellano contro le volontà degli altri, del Mondo, dell’Universo.
L’espressione “dare un colpo al cerchio e uno alla botte” in genere ha un accezione negativa. La si usa per riferirsi a persone che tengono il piede in due staffe, cercando di accontentare un po’ tutti senza prendere una posizione netta.
Perché tanto disprezzo?
Perché chi sa prendere posizioni chiare, in linea con le proprie idee e i propri (incrollabili) principi&convinzioni, viene percepito come persona coerente. E quindi, di valore.
Ah, la coerenza.
Ma quanto è sopravvalutata, la coerenza?
Prima di tutto non sono così convinto che le persone coerenti esistano veramente. Sono un po’ come gli Yeti: tutti dicono di averne visto uno, ma poi vallo a sapere se è vero. Sono più propenso a credere, piuttosto, che esistano persone che tendano a negare le loro contraddizioni (e, a dirla tutta, nel mucchio, mi ci metto pure io).
Capita (spesso, ahimè), che raccontiamo a noi stesse e agli altri la nostra vita (e il modo in cui la interpretiamo) come un susseguirsi di avvenimenti e comportamenti legati tra loro da uno stretto rapporto di causa ed effetto. Questo ci permette di dare un manto di logicità a (quasi) tutto ciò che facciamo e a (quasi) tutto ciò che ci succede. Le contraddizioni vengono così appianate e la fatica nel tenere assieme cose distanti, evitata.
Io, il cerchiobottismo lo rivendico. E pure con convinzione.
Però attenzione: non intendo il cerchiobottismo come uno stile di vita volto ad accontentare gli altri, in un costante compromesso al ribasso. Lo intendo come il tentativo di tenere assieme le diverse parti di me che, ormai l’ho capito, sono spesso in violento contrasto tra loro. Una sorta di autocerchiobottismo dunque, utile a placare temporaneamente i demoni e tenere sotto controllo i conflitti più dilanianti, almeno fino a quando non si riesce a trovare una risoluzione che sia evolutiva e non distruttiva.
Giugno, ad AttivaMente, è stato un mese impegnativo: c’è stata, infatti, la prima edizione del festival Oikos - Abitare il confine.
Scrivo queste righe di getto, a poche ore dall’evento di chiusura (ovvero la serata dedicata alla scrittura autobiografica sotto le stelle). E mentre ne scrivo mi rendo conto che le persone che sono passate da qui in questi quindici giorni di festival, sono tutte molto simili a me: danno un colpo alla botte e uno al cerchio, nell’ostinato tentativo di mantenere assieme i diversi aspetti della loro vita. Insomma, non sono il solo a tentare di praticare l’autocerchiobottismo.
Oikos ha preso il via con una specie di conferenza tenuta da Valerie da me dal titolo Come le stelle per i naviganti. Posso scriverlo? Emozionante. Per due sere di fila, in una tintostamperia abbandonata (che però si sta trasformando sempre di più in un luogo di cultura, di vita, di nutrimento), tante persone hanno meditato per la prima volta. Perché non è che facciamo una conferenza e teniamo tutti seduti lì, solo ad ascoltare. Durante le nostre conferenze si fanno anche cose. Tra le tante, c’è stata una piccola sessione di Mindfulness in un ambiente post industriale (le foto di Gin Angri lo raccontano in maniera emozionante).
E poi ci sono state le due giornate dedicate specificatamente alla Mindfulness (ancora?, sì ancora) e ai tarocchi, entrambe tenute dalla nostra Cristina. E siamo saliti in cima al Monte Boletto, con i ragazzi di WeRoof, ad osservare il tramonto. Per non parlare del MacGuffin Cabaret, ovvero una serata durante la quale abbiamo riso, e molto, giocato con i tarocchi (ancora?, sì ancora), spiegato cosa sia il counseling, ascoltato Stefano Dragone leggere Uno, nessuno, centomila di Pirandello, e tutto ciò sotto la splendida guida di un bravissimo (e comicissimo) Davide Marranchelli (a proposito, se siete nei paraggi di Como, non perdetevi Pene di amor perdute, di cui Davide cura la regia con Simone Severgnini).
Ma, soprattutto, durante questi quindici giorni, abbiamo chiesto a tutti i partecipanti di dirci quale fosse il loro “E se magico”.
Che cosa è il “E se magico”?
È un “e se” seguito da un’azione concreta. Esempio: e se andassi a vivere alle Maldive? (in molti l’hanno scritto, quindi evitate di farlo; se ci dovessero andare tutti quelli che lo desiderano, Piazza Duomo a Milano il 24 di dicembre sembrerebbe il deserto del Sahara, a confronto)
Ne abbiamo raccolti a centinaia e a settembre tutti questi “E se…” verranno trasformati in un’opera d’arte collettiva, realizzata dai ragazzi di CoCo, sempre nella ex tintostameperia.
Leggerli è stato toccante. Perché da molti di questi “e se” emergono desideri, sogni, energie, tormenti, spesso inespressi, che, per qualche ragione vivono, e bruciano dentro di noi.
Eccone alcuni.
E se accettasi la rivoluzione?
E se mischiassi il sale con la panna?
E se decidessi di regalare a tutti noi quel volo in idrovolante?
E se mi intromettessi di meno?
E se presentassi allegramente le dimissioni?
E se smettessi di cucinare, sempre, per tutti?
E se assaggiassi uno scoiattolo?
E se dicessi tutta la verità a mio marito?
E se trovassi la forza di lasciare l’amante?
E se rimanessi?
E se in fondo fossi io, così come sono, la madre migliore che i miei figli possono avere?
E se la smettessi di dire “e se”?
Gli antichi bottai, artigiani di una certa maestria, sapevano che per fare bene il loro dannato lavoro dovevano alternare un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Legno e ferro vanno modellati entrambi con sapienza, afinché stiano assieme.
Un'arte così antica non va disdegnata. Ma riscoperta.