Tormenti, tormentoni e Shakespeare
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Tormenti, tormentoni e Shakespeare

Tormenti, tormentoni e Shakespeare
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Di Erika Renai | Tormenti e Tormentoni | MacGuffin 42

La parola tormentone ha due significati. Il primo: preoccupazione, fastidio, rovello. Il secondo: nome comune della larva del maggiolino che distrugge le piante.

Il termine tormentone, etimologicamente, deriva dal latino “tormentum”, termine generale che indicava qualunque macchina militare che lanciasse proiettili mediante impulso rotatorio prodotto da fune attorcigliata.

Questo lemma indicò anche uno strumento a ruota destinato ad infliggere una pena corporale ai prigionieri, contorcendone le membra.

Urca!

Certo che a leggere i testi di alcune canzoni/incubo dell’estate 2023, si capisce bene la relazione con lo strumento di tortura…

Al di là dello scherzo e del dileggio, ammettiamolo: anche noi ci sentiamo dei poveri sotto tortura, a volte.

D’estate pure di più.

E il caldo e la canzoncina sparata in ogni dove, dalla hall dell’albergo, al chioschetto in mezzo al nulla, quella canzoncina che non ti si schioda dalla testa; e poi le zanzare; la prova costume; i bambini urlanti; l’intrattenimento a non finire; la GAG a bordo piscina; gli animatori zelanti; le partenze intelligenti; le code a 45° all’ombra; i sensi di colpa vari inflitti o auto-inflitti.

E come si fa a sganciarsi da tutto questo tormento e tormentone?

Bisogna fare vuoto.

Del resto lo dice l’etimo della parola “vacanza” che deriva da vacante e cioè vuoto, libero, senza impegni e occupazioni.

Quindi l’obiettivo di questa estate 2023 sarà quello di raggiungere il vuoto, che è il vero riposo.

Che poi quando arriva l'estate tutti bramiamo il riposo come un corridore al traguardo.

Lavoriamo per riposare e riposiamo per tornare al lavoro: questa ruota da criceto non è che mi convinca molto. E allora faccio un passo indietro.

Ho l'impressione che tormenti e tormentoni siano arrivati nella mia vita insieme all’adultità.

Non so se vale per voi la stessa cosa, ma se io penso alle mie estati da bambina, prima, e da ragazza poi, io la ritrovo questa capacità di fare vuoto…

Mi rivedo a camminare nel giardino - che mi pareva immenso - della mia bisnonna, ad esplorare la natura, a studiare tutto: rumori, animali, a inseguire lucertole e farfalle; ad arrampicarmi sugli alberi per assaggiar le susine calde di sole; e inventavo giochi, avventure.

E mentre scrivo queste cose io li sento quegli odori, quei rumori e lo vedo il colore di quelle susine.

Da ragazza poi mi ricordo i pomeriggi, nel coprifuoco pomeridiano a recuperare le forze prosciugate dal sole e dal sale, tuffarmi prima nella Alcott e poi in Kafka, Kundera, Deledda, etc… con lo stesso stupore e la stessa frenesia d’avventura che avevo anni prima ad esplorare il giardino della bisnonna.

Ecco qual era il super potere da bambina e da ragazza: facevo vuoto, accoglievo meraviglia e imparavo la bellezza delle cose semplici alle quali facevo ancora caso!

(Pure questa frase è un tormentone evergreen!).

Semplice e ciò che ha una sola piega (plica in latino), al contrario di ciò che va s-piegato (cioè liberato dalle pieghe) perché è com-plicato (pieno di pieghe).

Il semplice ha una sola piega, un solo velo e dovrebbe esser quindi facilmente notabile, ma non è sempre così.

Il nostro quotidiano è una corsa continua, e ci ritroviamo, a volte, in un vortice senza fine di appuntamenti, scadenze, responsabilità. Ci sentiamo come funamboli su una corda tesa sopra un burrone di impegni.

Del resto quando sei su una corda tesa su un burrone non è che ti metti a guardare la semplicità del fiore, giusto?

La vacanza invece, potrebbe essere il luogo privilegiato per questa attenzione al semplice, allo stupore: vacanza vuol dire vuoto, quindi in mancanza, l'ideale per riscoprirsi capaci (cioè atti a contenere) di ricevere ciò che accade e ciò che è intorno a noi, così potremo esser riempiti di un contenuto, che - si spera - ci renderà contenti. (Così abbiamo usato tutte le parole che derivano da continere, contenere.)

Almeno in questi giorni di vacanza gustiamoci il passo, la fatica, il silenzio, le parole, la bellezza della natura…

Stendiamoci sulla spiaggia, senza pensare a qualcosa di specifico, così, a godersi la brezza, l’acqua che lambisce piedi, il vento tra i capelli.

Distesi a cercare una forma alle nuvole (da quant’è che non lo facciamo?!).

Sarebbe bello se riuscissimo in questo tempo di vacanza a ritornare a stupirci delle cose semplici togliendoci la pretesa, l'aspettativa di trovare il riposo nelle cose eccezionali o nelle cose esotiche.

Lasciando a casa l’ansia di capitalizzare a ogni costo il tempo, volendo rendere produttivo ogni secondo del “tempo libero”.

Prendiamo il tempo di assaporare ciò che ci accade, facciamo caso alle piccole cose, così non correremo il rischio di arrivare impreparati al presente (e quindi anche alle vacanze) perché siamo altrove, distratti, dispersi, pre-occupati.

Per salutarvi prendo a prestito le parole di Lear, tratte dal Re Lear di Shakespeare, su questa capacità di meravigliarsi e di riscoprire la semplicità e il mistero delle cose.

Re Lear e Cordelia si avviano alla prigione, ormai tutto è perduto e il re tranquillizza la figlia dicendole: “vieni, andiamocene in prigione; soli, noi due. Pregheremo e canteremo come uccelli in gabbia […] vivremo pregando, cantando e raccontandoci antiche storie… Prenderemo su di noi il mistero delle cose come se fossimo le spie di Dio.”

Vi auguro di fare di questa ultima frase la mappa su cui segnare le tappe della vostra vacanza!

E, se vi scappa di cantare canzoni a squarciagola che non sapete come siano finite nella vostra testa… tranquilli, sono i tormentoni dell’estate 2023 e nel vuoto, ci sta che si siano infilate a tradimento!